di Giuseppe Miceli*
Durante il tempo trascorso in quarantena, le cose più interessanti che ho potuto fare – al di là di prendere atto di avere una preadolescente filmaker in casa prestata al mondo di “tik tok”, ed una bambina che assomiglia a Jane Fonda in versione cheerleader – sono state leggere e riflettere. Letture e riflessioni che mi hanno portato inevitabilmente indietro nel tempo, a quando l’adolescente ero io stesso.
L’opportunità di scrivere di quella fase della mia vita, offertami da Teen&20, capita insomma al momento giusto.
Non sono stato il classico ragazzo adolescente problematico, che dava grossi grattacapi ai propri genitori. A parte qualche insuccesso scolastico, non avevo né richieste esose né particolari esigenze di libertà, come tanti altri coetanei di allora. Il motorino lo comprai con i miei primi risparmi, sudati durante un’estate passata a fare l’operaio, e cominciai a frequentare le discoteche non prima della maggiore età. Ero consapevole di vivere in una famiglia dove si facevano sacrifici e lo accettavo con responsabilità. Ma questo non mi ha permesso di uscire comunque indenne da quegli anni.
Non avevo ancora quindici anni (era il 1985) quando il mio migliore amico, compagno di scuola e squadra, morì in un tragico incidente stradale. Non feci in tempo di uscire da quel trauma che se ne ripresentò un altro, toccandomi ancor più da vicino. Venni coinvolto, un anno dopo, in un altro brutto incidente, insieme a mio fratello e due suoi compagni di scuola, uno dei quali perse la vita. Fu un’esperienza straziante per tutti noi ed i nostri genitori. Dover sbattere, in così poco tempo, ripetutamente contro una realtà come la morte a quell’età, rappresentò una prova difficile da superare. Seguì un periodo in cui i miei sentimenti sembrarono appiattirsi e nel tempo mi resi conto dei danni psicologici subiti.
I risultati scolastici non mi aiutarono, nel frattempo mio padre decise con perentorietà che dovevo lasciare il calcio e con esso tutta la rete di relazioni che ero riuscito a crearmi, con non poche difficoltà. Alle soglie dei diciasette anni, insomma, le cose per me non si stavano mettendo per niente bene.
Erano gli anni di Videomusic e più tardi anche di Mtv, la radio inoltre era ancora un mezzo di svago e di informazione importante, attraverso cui cercare qualcosa di nuovo ed inesplorato. Pordenone, la città dove studiavo, vantava un sottobosco culturale ricchissimo che non tardò ad influenzare, sul finire del 1986, le mie scelte in campo musicale ed estetico. I miei genitori, purtroppo, non mi avevano trasmesso nulla da questo punto di vista, non avevamo ricche librerie a casa (a parte un paio di enormi enciclopedie) o collezioni di dischi dalle quali attingere e trarne ispirazione, quindi qualsiasi sforzo facessi, sapevo che era frutto della mia intraprendenza e curiosità. Sentivo che qualcosa stava cambiando in me, ero alla ricerca di una identità. Nulla di nuovo in un adolescente, se non fosse che per me identità voleva dire innanzitutto distinguermi dagli altri, non omologarmi.
I media erano diversi e meno invasivi, non eravamo sottoposti alle pressioni di oggi naturalmente, molti giovani si ispiravano alle cosiddette “controculture”, attraverso le quali potevano esprimersi ed affrancarsi dalla società generalista e da famiglie iperprotettive come la mia. E così, grazie anche ad alcune nuove amicizie, riuscii a ritagliarmi piano piano il mio piccolo angolo di “paradiso”, nel quale misi tutto quello che mi faceva stare bene, innanzitutto la musica. Musica che avvertivo come qualcosa di fortemente identitario, che mi ha portato a scoprire l’emozione di andare ad un concerto, il mondo della radio, dell’editoria indipendente, ed in seguito universi paralleli come il cinema, la letteratura, l’arte e la fotografia.
Ero felice e spensierato, forse ancora un po’ introverso ma non più l’adolescente insicuro e inadeguato di prima, anzi tutt’altro. Mi trovavo nel migliore dei mondi cui potessi aspirare in quel momento. Il processo attraverso il quale elaborai le mie dolorose esperienze, fu del tutto naturale e partì da me stesso. L’aver scoperto quel vaso di Pandora ebbe su di me un effetto salvifico.
I fatti che seguirono tracciarono il mio percorso futuro. Contribuii alla realizzazione di una “fanzine”, ovvero una rivista artigianale fatta di pagine fotocopiate (in uso negli anni 70/80), in cui scrivevo articoli musicali, recensivo dischi e concerti. Successivamente, a vent’anni circa, collaborai per un breve periodo con la redazione della rivista musicale “Rockerilla”, fino alla conduzione di programmi in radio e all’organizzazione di concerti in Italia, che è diventata nel tempo la mia professione.
C’è da dire che negli anni del raggiungimento della maturità, la vita non mi trattò sempre bene, avvenimenti negativi e delusioni erano sempre dietro l’angolo. Devo ammettere comunque che ogniqualvolta mi sono trovato ad affrontare delle difficoltà, la musica era sempre presente, e la sua forza propulsiva mi ha aiutato spesso a superarle.
Vorrei tanto che il mio racconto arrivasse a quei ragazzi che hanno pensato ad un certo punto di non farcela, e li stimolasse nella ricerca di qualcosa di sano e solido – che per me è stato il mondo della musica ma per qualcun altro potrebbe essere il teatro, l’arte, il fumetto, lo sport… – a cui aggrapparsi per esprimere se stessi e ritornare a credere nel proprio futuro.
* Lavoro professionalmente nel campo dell’organizzazione di concerti ed eventi musicali, in tutto il territorio nazionale, per la mia agenzia Solid Bond Agency dal 2001 , anche se iniziai in maniera semi-professionale già dal 1991. Organizzo concerti di artisti internazionali per club, festival ed eventi. Negli ultimi anni ho fatto parte della direzione artistica di Fiera della Musica di Azzano Decimo e collaborato con Fabrica di Treviso.