L’identità di genere: me, myself and I

di Rosa Olga Nardelli

Il termine identità di genere indica il genere in cui una persona si identifica, ovvero se si percepisce uomo, donna o se si inserisce in qualcosa di diverso da queste due polarità: questa consapevolezza interiore porta, dunque, la persona a dire “io sono un uomo”, oppure “io sono una donna”.

L’identità di genere, come abbiamo già visto le scorse settimane, è un costrutto che non riguarda direttamente l’orientamento sessuale e non deriva dal sesso biologico: sebbene, nella maggior parte delle persone, l’identità di genere coincide con l’identità biologica di nascita, ci sono dei casi in cui, invece, non c’è corrispondenza tra i due costrutti e la persona prova malessere, disagio nella propria identità biologica.

Proviamo a spiegare e a chiarire.

L’identità di genere è un tratto di personalità che possiamo definire:

  • precoce, poiché inizia a costruirsi durante la primissima infanzia, ovvero già verso i 3/4 anni di età e prosegue per tutta la vita, fino a stabilizzarsi nel periodo post adolescenziale;
  • profondo, perché ha a che fare con qualcosa di nucleare per la persona, ovvero con una percezione di sé molto intima, difficile da spiegare e da definire con le parole;
  • duraturo, dal momento che si stabilisce presto e permane per il resto della vita della persona.

Nel corso dell’adolescenza, la definizione e la costruzione della propria identità assume un carattere fondamentale, poiché si tratta di una fase di ridefinizione del Sé e dell’immagine di Sé che si mostra agli altri e che si percepisce: in questo periodo della vita, dunque, la persona realizza un’idea di sé che assume sempre maggiore consapevolezza. E tale consapevolezza si inserisce, a sua volta, nella cultura di appartenenza e nel periodo storico a cui facciamo riferimento, dal momento che l’identità di genere è un costrutto strettamente legato al contesto in cui la persona è inserita – pensiamo, ad esempio, ai “due spiriti” della cultura dei nativi americani, agli eunuchi o ai “fa’afafine” di alcune società polinesiane, oppure alle persone definite “hijra” in India e “khawajasiras” in Pakistan.

Essere/sentirsi maschi o femmine, oggi o ieri, in questa o in un’altra cultura cambia notevolmente il significato che l’identità di genere possiede, proprio alla luce delle altre componenti dell’identità sessuale (ruolo di genere e orientamento sessuale) ed in relazione ad esse, sebbene non vadano confusi. 

Anche il corpo diventa una parte fondamentale nel processo di costruzione dell’identità, sebbene non sia esso a predeterminare né a causare le forme e i contenuti psicologici personali, le attitudini, le capacità e le possibilità della persona. Essere in un corpo e non riconoscerlo come proprio è un’esperienza che è difficile comprendere: è come indossare una scarpa destra al piede sinistro. Di per sé non è “sbagliato” – sempre di piedi e scarpe si tratta – ma camminare in quella condizione è molto scomodo, e rischia di procurare molto dolore. Per molto tempo si è detto che le persone che si identificano in un genere diverso da quello che il loro corpo dimostra soffrissero di “disturbo dell’identità di genere” e che questo fosse un disturbo mentale. Solo nel 2013 il DSM – Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’American Psychiatric Association (che raccoglie tutti i disturbi mentali) ha smesso di parlare di “disturbo” ed ha usato il termine “disforia di genere”, un’espressione che si usa per indicare il disagio sperimentato da alcune persone che non si riconoscono nel sesso dei loro organi genitali: appunto, come un piede sinistro in una scarpa destra.

La disforia può avere diversi gradi e ci sono persone che non si identificano pienamente con il proprio sesso biologico (definite “transgender”), altre per le quali il disagio rispetto al proprio sesso biologico è talmente forte che sono disposte a sottoporsi a cure ormonali e operazioni chirurgiche con l’obiettivo di conformare il proprio corpo alla propria identità di genere (in questo caso si usa il termine “transessuale”).

La disforia di genere è un fenomeno complesso che, sebbene raro, ha a che fare con l’adolescenza e con la ricerca di sé tipica dell’adolescente. Da tempi immemori se ne discute, e, come abbiamo visto, è presente in molte culture, anche in quelle molto lontane dalla nostra. Per questo motivo, in un momento storico in cui si discute di leggi a tutela della persona, di prevenzione alla discriminazione e alla transfobia, ribadiamo che è importante conoscere i termini corretti e provare ad indagarne i significati, in maniera tale da capire di cosa si sta parlando e, soprattutto, da comprendere la necessità di difendere l’unicità di ogni persona.

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