Ti conosco?

di Francesca Del Rizzo

Cosa significa conoscere una persona?

Mi è capitato, recentemente, di sentire spesso questa domanda attraversarmi la mente. Pensandoci credo che incontrare costantemente persone nuove, approfondire la conoscenza di persone che conosco da tempo, ma soprattutto, vedere crescere figli adolescenti possano forse essere gli inneschi per questo tipo di interrogativo.

Professionalmente incontro le persone e sono profondamente impegnata nel tentativo di comprendere loro ed il mondo che le circonda. Nella mia vita privata frequento amici che posso dire di conoscere da tempo eppure ho sempre la sensazione che qualcosa mi sfugga. Di fronte a mio figlio in rapida e disarmante trasformazione, poi, mi sento talvolta priva di bussola e disorientata. Ed è mio figlio, me lo sono visto crescere giorno per giorno. Ho cercato di stare attenta e di non perdermi nulla della sua evoluzione, eppure…

Eppure mi trovo a dire che forse non lo conosco davvero. E la domanda si ripresenta: cosa significa conoscere una persona? I vari sistemi psicologici hanno dato, nel tempo, vari tipi di risposte a questa domanda, ma nessuna è davvero esauriente. Mi sembra che conoscere una persona non equivalga a conoscerne la storia, misurarne i processi cognitivi, valutarne emozioni e motivazioni, né che sia sufficiente mappare il sistema di relazioni in cui è immersa.

Nel costruttivismo diciamo che per conoscere una persona dobbiamo comprendere che cosa è fondamentalmente impegnata a fare. Credo sia una buona idea ed un ottimo punto di partenza. Se comprendo, infatti, che la mia amica è fondamentalmente impegnata a non essere di peso sulle altre persone, non mi stupirò quando non mi dirà che sta male o se non mi chiederà aiuto quando ne potrebbe avere bisogno. E dovrò stare attenta alle proposte che le farò: c’è il rischio che mi compiaccia per non darmi un dispiacere… Sapere che cosa è fondamentalmente impegnata a fare mi permette di anticipare a grandi linee, ed a volte in modo più raffinato, cosa farà e come si sentirà in una certa situazione. Per farlo dovrò guardare alle varie situazioni dal suo punto di vista, attraverso i suoi occhi: dovrò essere in grado di capire cosa esse significhino per lei. ma per guardare il mondo dal suo punto di vista un po’ la devo già conoscere…

Ecco allora che conoscere una persona mi sembra il frutto di un processo ricorsivo: provo a guardare il mondo dai tuoi occchi, anticipo cosa potresti fare in quella situazione, vedo se lo fai… e se lo fai posso dire di conoscerti, almeno relativamente a quell’aspetto, altrimenti c’è qualcosa che non torna… devo mettere in discussione un pezzo della mia comprensione di te e riprovare.

Il che potrebbe anche funzionare, se l’altro si limitasse ad “essere se stesso” e a “fare se stesso” in maniera coerente e stabile nel tempo. Cosa che precisamente le persone non fanno, per fortuna. Le persone cambiano. A volte i cambiamenti sono minuscoli, altre un po’ più importanti, altre ancora considerevoli. Ed allora scopriamo che non riusciamo più a capire così bene, ad anticipare così efficacemente. Ci sentiamo sorpresi, spiazzati, a volte molto spaventati. Quante volte abbiamo sentito dire, o abbiamo detto: “Ma, non è da lei/lui, non ha mai fatto così, non me lo aspettavo proprio!”

Talvolta siamo così confusi da non riuscire a prendere atto del fatto che, evidentemente, qualcosa non è più come prima e cerchiamo di fare tornare l’altro nell’alveo della nostra passata conoscenza di lui. Per cui, se il nostro adolescente improvvisamente non ci racconta più nulla, niente, non ce la facciamo ad accettarlo… e insistiamo, proviamo in un altro modo, lo facciamo sentire in colpa, lo minacciamo… Siamo così affezionati alla nostra passata comprensione di lui – comprensione che ci dava anche un preciso posto nella sua vita – che non riusciamo a mollarla, perchè mollarla implicherebbe anche lasciare andare una parte di noi, la parte di noi che aveva un certo ruolo con quella persona che era così come era, nella relazione con noi.

Immagine di Alessia Tornusciolo

Quindi, riassumendo, possiamo dire di conoscere un po’ l’altro quando riusciamo a guardare il mondo dal suo punto di vista e ad anticipare come lui si sentirà ed agirà in una certa situazione, ma, siccome l’altro non è fermo ma in continuo cambiamento, possiamo prevedere che spesso la nostra conoscenza si dimostrerà incompleta o sbagliata. Sembra che siamo arrivati ad una specie di paradosso: conoscere l’altro significa sapere di non conoscerlo davvero.

Ora che lo guardo bene, questo paradosso mi piace tantissimo, perché la consapevolezza che la mia conoscenza dell’altro (o dell’altra) è sempre in procinto di mostrare i suoi limiti non può che tenere sempre aperti la mia curiosità ed il mio interesse nei suoi confronti, mi impegna a mettermi in gioco con lui (o con lei) senza mai dare nulla per scontato, e mi porta ad una continua rimodulazione della nostra relazione: infatti se l’altro cambia, cambia anche la sua relazione con me.

Faticoso? A volte può esserlo molto (cfr. l’adolescente di cui sopra), ma sicuramente entusiasmante. Disorientante, più spesso del gradito, ma vitale e vivo, anche un po’ misterioso, se volete, che, a mio avviso, non guasta.

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