17 maggio – giornata mondiale contro l’omofobia

di Rosa Olga Nardelli

Il 17 maggio del 1990 l’omosessualità viene definitivamente cancellata dalla lista delle malattie mentali, portando a compimento una vera e propria rivoluzione, arrivata dopo anni di battaglie da parte della comunità LGBT. Per questo motivo in questa data viene celebrata la Giornata internazionale contro l’omofobia, proprio a ricordare non solo la svolta, ma anche le innumerevoli persone che ne sono state vittime e che continuano ad esserlo. 

In un certo senso, celebrare questo passaggio rappresenta una rottura con la storia recente, non solo della medicina, perché ha di fatto portato ad un cambio di prospettiva importante per la vita delle persone. Fino a pochi anni fa, infatti, l’omosessualità era considerata una malattia come le altre anche da parte della comunità medica, tanto che sono state concepite le cosiddette terapie riparative.

Sebbene condannata da tempo, solo tra gli anni ’50 e ’60 l’omosessualità viene inserita all’interno dei manuali diagnostici condivisi dalla comunità scientifica e medica: nel 1952 viene classificata all’interno dei “disturbi sociopatici di personalità”; nel 1968 il DSM II (Manuale Diagnostico Statistico che raccoglie e classifica i disturbi mentali e psicopatologici, e che viene utilizzato da psichiatri, psicologi e medici sia nella pratica clinica che nell’ambito della ricerca) considera l’omosessualità una deviazione sessuale, al pari della pedofilia. Bisogna aspettare gli anni ’70 perché l’omosessualità venga rimossa come categoria diagnostica, fino ad arrivare ad una vera e propria derubricazione proprio nel 1990, quando la medicina dichiarò apertamente la propria posizione: l’orientamento sessuale è una caratteristica dell’individuo che si esprime nella relazione con l’altro ed è connessa ai bisogni di sicurezza e sociali quali i bisogni di amore, affetto ed intimità; l’orientamento sessuale prevede tre varianti naturali – eterosessualità, omosessualità, bisessualità.

Nel frattempo, in quei decenni avevano preso piede anche le terapie riparative, chiamate anche terapie di conversione o di ri-orientamento sessuale: metodi che avevano come obiettivo quello di modificare l’orientamento sessuale di una persona, una sorta di “riprogrammazione” dell’orientamento da omosessuale/bisessuale a eterosessuale, tanto da modificarne anche i desideri sessuali. Le terapie riparative consistevano, sostanzialmente, nel “curare un difetto di mascolinità” che si credeva avesse origine da una relazione disfunzionale con le figure genitoriali e le tecniche più comunemente utilizzate riguardavano: la terapia dell’avversione (associando una sensazione spiacevole e/o disgustosa – es. scariche elettriche, nausea e vomito – ad immagini omoerotiche), l’esorcismo, le punizioni corporali, l’assunzione di farmaci inibenti il desiderio sessuale o che modificano la secrezione ormonale (ovvero la castrazione chimica), la modificazione del comportamento, l’astinenza sessuale, il confinamento sociale.

Nel 1969 i moti di Stonewall hanno dato origine al movimento LGBT, aumentando la visibilità delle persone e portando alla luce la questione: questo incentivò un movimento scientifico ed etico, tanto da arrivare all’evidenza scientifica odierna per cui le terapie riparative non solo non sono più riconosciute dalla comunità scientifica, bensì sono considerate inefficaci, dannose e altamente pericolose

Ma, come abbiamo già esposto in precedenza, non si può pensare di cambiare l’orientamento sessuale e non si può curare l’omosessualità, perché l’orientamento è una caratteristica naturale dell’essere umano e l’omosessualità e la bisessualità non sono delle malattie, come ormai ampiamente testimoniato da una innumerevole quantità di studi scientifici. Bisogna, dunque, aspettare il 17 maggio del 1990 perché avvenga il cambiamento e perché l’intera comunità scientifica si renda conto dell’errore commesso.

Successivamente, nel 2004 l’Unione Europea prende posizione e si impegna a lottare apertamente contro ogni forma di discriminazione legata al genere e all’orientamento sessuale, istituendo la Giornata Mondiale contro l’Omofobia-Bifobia-Transfobia (per essere precisi, dal momento che riguarda persone omosessuali, bisessuali e transessuali). Varie nazioni europee, nel corso degli anni, hanno compiuto notevoli sforzi per l’integrazione e per combattere la discriminazione, sebbene nel mondo la strada sia ancora lunga da percorrere perché questa rivoluzione culturale possa dirsi veramente riuscita: in ben 7 paesi al mondo, al momento, vige la pena di morte per il “reato” di omosessualità, in altri 5 ne è contemplata la possibilità; 26 stati impongono sanzioni per le relazioni omosessuali, che vanno dai 10 anni all’ergastolo; in 32 stati esistono leggi che limitano la libertà di espressione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, compresa la “propaganda dell’omosessualità” (Fonte: rapporto ILGA 2019 – https://ilga.org/state-sponsored-homophobia-report).

In Italia e nel mondo ogni anno le associazioni si impegnano per parlare di questi temi, raccontare esperienze, aprire discussioni a riguardo. E anche quest’anno accadrà, tra dirette Facebook e Instagram, di incontrare i membri di queste associazioni alle prese con la lotta all’omofobia: forse quest’anno più che mai sarà visibile e utile raccontare cos’è il bullismo omofobico e come possiamo farvi fronte, ascoltare le storie di coloro che ci sono passati, confrontarsi con esperti e attivisti, discutere sulla questione dei diritti civili. Al coro delle associazioni, per la prima volta quest’anno, si sono unite anche alcune scuole che hanno chiesto ai loro docenti di parlare di questa giornata e di dedicare del tempo nel corso delle loro lezioni con gli alunni.

Dunque, domenica 17 maggio ci diamo appuntamento sulle varie piattaforme e nei vari siti per celebrare questa importante ricorrenza, apriamo le orecchie e la mente a questo spazio, perché non è mai abbastanza parlare di diritti e di lotta alle discriminazioni.

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