di Rosa Olga Nardelli
Diversi anni fa ricordo una famosissima pubblicità di una nota marca di dopobarba che citava: “per l’uomo che non deve chiedere…mai!”, pubblicità che, enfatizzando la prestanza fisica del protagonista, raccontava, senza neanche troppi mezzi termini, quanto fosse importante per un uomo “non chiedere” ed essere sempre pronto a conquistare una donna.
Ricordo anche che non fosse così strano o così inusuale pensarla allo stesso modo: un uomo è una persona che si occupa del lavoro, che preferisce film crudi e violenti, che non si fa spaventare da nulla; un uomo è quello che arriva a casa e si siede davanti ad una cena fumante, che raramente si occupa dei propri figli e, quando lo fa, deve ricevere dettagliate istruzioni o addirittura essere supervisionato; un uomo può riparare la lavatrice, ma non sa come stendere il bucato, può dare una mano in casa, ma poi il suo lavoro lo porta fuori.
Sono passati almeno vent’anni da questo spot, l’ultimo risale al 2005, mentre i primi sono degli anni ’80, e lo slogan nel corso del tempo non è mai cambiato: “per l’uomo che non deve chiedere mai!”.
In questi giorni, invece, in un pullulare di notizie serie di cronaca, politica, economia, arriva lui: un uomo sui 30 anni, tatuato dalla testa ai piedi, vestito con le sue ciabatte di una notissima marca di abbigliamento di lusso, seduto su una poltrona, che piange con in braccio la sua bimba nata da poche ore; lo stesso uomo che, tradito dall’emozione su un palco tanto emotivamente impegnativo come San Remo, ha la voce rotta e si commuove nel corso della sua prima esibizione. E si scatena una bagarre di commenti, di disappunto, di risate per l’uomo Fedez che piange pubblicamente, come se piangere fosse proibito per un maschio, o quantomeno ridicolo.
Ecco: Fedez è un personaggio che può piacere o non piacere, lo si può criticare per la sua vita, per l’ostentazione, per i tatuaggi, per la musica, per le sue scelte. Però un aspetto di lui va indiscutibilmente riconosciuto: sta combattendo, più o meno consapevolmente, contro la cosiddetta “mascolinità tossica”, un concetto nato nelle aule universitarie ma che è entrato nel vocabolario comune per indicare “un insieme di comportamenti e credenze che comprendono il sopprimere le emozioni, mascherare il disagio o la tristezza, il mantenere un’apparenza di stoicismo, e la violenza come indicatore di potere” (basti pensare al “non deve chiedere mai”). Peccato che i primi a farne le spese sono proprio i maschi, dal momento che viene impedito loro di esternare le proprie emozioni e sentimenti, con il rischio di sentirsi continuamente in dovere di essere prestanti, perfetti, inflessibili, inscalfibili.
Rivendicare il diritto di essere deboli, emotivi, umanamente fragili può essere solo panacea per i giovani uomini del domani. E per tenere a mente questo concetto, vi propongo la visione di un video girato pochi anni fa da Gillette: because the boy is watching today will be the man of tomorrow – perché i ragazzi che oggi ci guardano saranno gli uomini di domani.
https://www.youtube.com/watch?v=koPmuEyP3a0 (spot Gillette in inglese)