Adolescenti, sport e genitori

di Francesca Del Rizzo

Affronto oggi in questo articolo un argomento a me molto caro: il rapporto fra adolescenti e sport. 

Le statistiche dicono che l’adolescenza è il momento in cui molti fra i ragazzi e le ragazze abbandonano la pratica sportiva. Le ragioni sono molte ma le prevalenti hanno a che fare con l’aumento degli impegni scolastici e con fattori legati alla relazione fra allenatori ed atleti. A mio avviso hanno una certa importanza anche variabili legate alla struttura dello sport giovanile: in adolescenza la pratica sportiva diventa agonistica e 1) non tutti hanno le doti per la pratica  agonistica e 2) non tutti i ragazzi e le ragazze hanno voglia di investire nello sport così tanto del loro tempo e delle loro energie: molti vorrebbero semplicemente continuare a fare un po’ di movimento in compagnia, ma non ci sono molte opportunità in questa direzione.

Quindi mollano. Ed è un peccato.

Abbiamo ospitato in queste pagine il contributo di Piero Della Putta che ci ha incantato con l’intensità delle parole con cui ha raccontato la sua esperienza sportiva in adolescenza. Per Piero sport ha significato, in adolescenza, amicizia, impegno, maturazione, conoscenza di sé e degli altri, costruzione di un futuro professionale, benessere e salute

Ed è proprio così un po’ per tutti gli sportivi, sebbene secondo declinazioni e con sfumature specifiche ed individuali.

Ma non è questo l’aspetto su cui mi voglio concentrare ora. Nel rapporto fra i ragazzi e le ragazze e lo sport hanno un ruolo non secondario anche i genitori e c’è un loro comportamento che io trovo estremamente discutibile e che mi fa molto innervosire. Occupandomi anche di sport ho spesso sentito i genitori dire qualcosa tipo: ha tanto da studiare, non ha tempo per allenarsi

Ecco… non ci siamo, non ci siamo proprio. Salvo eccezioni puntuali, legate a concomitanze occasionali di verifiche ed interrogazioni plurime, i ragazzi e le ragazze possono allenarsi e studiare. Per gli atleti il cui impegno sportivo è particolarmente intenso, poi, grazie ad un protocollo di intesa fra Coni e Miur, le scuole possono riconoscere alcune facilitazioni specifiche, che permettano la conciliazione degli impegni presenti in entrambi i fronti. 

Ragazze e ragazzi possono quindi, appunto, studiare ed allenarsi, anzi, mantenendo attivi entrambi gli impegni imparano ad organizzarsi, ad ottimizzare il loro tempo, ad evitare di disperderlo inutilmente. 

Inoltre i genitori possono essere rassicurati dalle ricerche che dimostrano ormai ampiamente come l’esercizio aerobico stimoli la comparsa di nuovi neuroni nel cervello, in particolare nelle aree deputate all’apprendimento. In generale l’attività fisica stimola la produzione del fattore neurotrofico cerebrale (Bdnf – brain-derived neurotrophic factor) che consente il rimodellamento e la crescita delle sinapsi dopo l’esposizione a stimoli nuovi. Il Bdnf in altre parole facilita l’apprendimento e permette al cervello di essere più resistente ai danni derivanti da traumi ed infezioni. Ed ancora, l’esercizio fisico regolare aumenta il flusso di sangue nel cervello, alterandone in meglio la struttura e la funzionalità. Infatti l’esercizio stimola la sintesi, a livello muscolare, di una molecola chiamata fattore di crescita dell’endotelio vascolare (Vegf – vascular endothelial growth factor) responsabile della crescita della rete dei minuscoli vasi sanguigni che portano l’ossigeno e le sostanze nutritive alle cellule. Dai muscoli, infatti il Vegf si diffonde in tutto il corpo, anche nel cervello, dove, appunto, contribuisce alla migliore nutrizione dei neuroni.

Altre ricerche si sono invece concentrate sul cambiamento delle caratteristiche di personalità in funzione dell’esercizio e ciò che evidenziano è che la mancanza di esercizio è correlata ad una diminuzione dell’apertura mentale, dell’estroversione e dell’amicalità.

Infine l’attività fisica ha un ruolo importante nel migliorare l’umore, tanto che vi è una linea di ricerca impegnata a cercare di capire se camminare, ad esempio, possa essere considerato un fattore terapeutico nella cura della depressione.

Insomma ce n’è abbastanza per riflettere: praticare uno sport fa bene al corpo ma anche alla mente, se poi si tratta di un gioco sportivo (pallavolo, rugby, pallacanestro, calcio, tennis etc.) ai benefici dell’attività aerobica si aggiungono i benefici legati al giocare. Di nuovo: le ricerche dimostrano come giocare favorisca la produzione del Bdnf nelle aree cerebrali frontali e prefrontali, quelle legate allo sviluppo delle capacità di riflessione, autocontrollo, empatia, ragionamento prosociale, autoregolazione emotiva, pianificazione ed immaginazione, creatività

Credo che come genitori dovremmo quindi considerare la pratica sportiva un elemento necessario al benessere generale dei nostri ragazzi.

11 ottobre, Coming out day

di Rosa Olga Nardelli

“Come si fa a dirlo: non avrei conosciuto mio figlio”

“Occorre piangere e studiare”

“Ha permesso a me, genitore, di conoscere una parte del mondo di cui non conoscevo proprio l’esistenza”

In occasione dell’11 ottobre – Coming Out Day prendiamo in prestito le parole dei genitori che fanno parte dell’Associazione AGEDO (Associazione GEnitori Di Omosessuali – www.agedo.roma.it) per ricordare l’importanza del coming out: un atto di amore nei confronti di sé stessi e delle persone che ci amano.

Ma perché proprio l’11 ottobre?

Il primo Coming Out Day si è tenuto per la prima volta nel 1988 negli USA, su suggerimento di uno psicologo e di un attivista LGBT, con l’obiettivo di aumentare e rafforzare la coscienza e la consapevolezza all’interno della comunità LGBT. La data scelta, l’11 ottobre, ricorda la marcia per i diritti di gay e lesbiche, svoltasi a Washington l’anno precedente.