L’omofobia interiorizzata

di Rosa Olga Nardelli

C’è un fenomeno strano che riguarda le persone che sono abituate ad essere prese in giro, etichettate, discriminate: ad un certo punto iniziano a pensare che ciò che si dice di loro sia vero. Talmente vero che iniziano a crederci, a fare in modo che tutti ci credano, a fare in modo di cambiare per evitare di essere ancora sottoposti a quella tortura.

È un fenomeno molto comune tra le persone LGBT e in letteratura è stato utilizzato il termine di omofobia interiorizzata.

Definiamo: per omofobia interiorizzata si intende l’adesione più o meno consapevole da parte di persone omosessuali ai pregiudizi e agli atteggiamenti discriminatori di cui essi stessi sono vittime. In sostanza, deriva dall’accettazione passiva di tutti i sentimenti negativi, i comportamenti, le opinioni, i pregiudizi tipici della cultura omofoba. L’omofobia interiorizzata è in grado di condizionare notevolmente il funzionamento psicologico di persone gay e lesbiche, arrivando fino a voler negare e contrastare la propria omosessualità, o addirittura a nutrire sentimenti negativi nei confronti di altre persone omosessuali.

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Nei suoi studi, lo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi (2014) individua le precise caratteristiche associate all’omofobia interiorizzata:

  • scarsa accettazione di sé, che può arrivare all’odio di sé,
  • sentimenti di incertezza, inferiorità e vergogna,
  • incapacità di comunicare agli altri la propria omosessualità,
  • convinzione di essere rifiutati a causa del proprio orientamento,
  • identificazione con gli stereotipi denigratori.

Anche il bullismo omofobico fa leva sull’omofobia interiorizzata della vittima. Un ragazzo omosessuale che prova vergogna, senso di colpa, forte ansia e fatica ad accettare serenamente il proprio orientamento sessuale, può essere una facile vittima di bullismo omofobico. Quel ragazzo, infatti, potrebbe non avere il coraggio di denunciare i propri aggressori, non solo per paura di ripercussioni, ma anche per evitare di mettere ancora di più al centro dell’attenzione pubblica la propria omosessualità, vera o presunta, la propria diversità.

Allargando il nostro campo, possiamo dire che l’omofobia interiorizzata non è un concetto a sé stante ma, assieme allo stigma percepito (la sensazione di essere percepiti come omosessuali, e quindi di essere socialmente rifiutati), fa parte del concetto più ampio di minority stress, ovvero l’insieme dei disagi che si provano per il fatto di appartenere ad una minoranza.

Il pregiudizio e la discriminazione sono una grossa fonte di stress per le persone LGBT, e i fatti di cronaca ci hanno abituati a confrontarci con episodi talvolta molto violenti e traumatici. In un certo senso, si può infatti affermare che l’omofobia gode di una maggiore accettazione sociale rispetto ad altre forme di discriminazione e razzismo. Le persone omosessuali, a differenza di altre minoranze (es. etniche, religiose, etc.), non sempre possono contare sul sostegno sociale e familiare: accade sempre più di frequente che gli episodi di omofobia avvengano in casa, oppure vengano appoggiate dai familiari stessi, che colludono con quella violenza e ne sono altrettanto responsabili.

Cosa può fare un adulto per contrastare il fenomeno dell’omofobia interiorizzata?

La prima cosa da fare, sicuramente, è ascoltare. Poi parlare, e infine ascoltare ancora.

Innanzitutto proviamo ad ascoltare di più riguardo a questi temi: informarsi e conoscere è il modo più immediato per uscire dal pregiudizio. Ascoltare opinioni autorevoli a riguardo, imparare concetti e termini nuovi, sapere cos’è l’identità sessuale e come si forma, ci aiuta a capire bene di cosa si sta parlando, fa ordine nella confusione nostra e dei nostri ragazzi. 

Poi parliamo di questi temi: a cena, nei viaggi in macchina, durante il pranzo di Pasqua o di Ferragosto, la sera sul divano. In questo modo prendiamo dimestichezza noi con l’argomento, ma anche i nostri figli si abituano ad un dialogo più aperto e comprensivo. Non sempre serve che loro siano presenti: parliamone anche semplicemente con i nostri compagni, mariti, mogli, genitori, amici, così da contagiare anche gli altri.

Infine, torniamo ad ascoltare i ragazzi, disponendoci diversamente ad un ascolto più attento e concentrato su di loro. Cosa ci portano? Quali sono le loro preoccupazioni? Di cosa vogliono parlare con noi? Di cosa non riescono a parlare con gli altri? C’è qualcosa per la quale provano vergogna?

Solo se noi, gli adulti di oggi, saremo aperti al dialogo e al confronto potremo “coltivare” degli adulti consapevoli e privi di pregiudizi. 

17 maggio – giornata mondiale contro l’omofobia

di Rosa Olga Nardelli

Il 17 maggio del 1990 l’omosessualità viene definitivamente cancellata dalla lista delle malattie mentali, portando a compimento una vera e propria rivoluzione, arrivata dopo anni di battaglie da parte della comunità LGBT. Per questo motivo in questa data viene celebrata la Giornata internazionale contro l’omofobia, proprio a ricordare non solo la svolta, ma anche le innumerevoli persone che ne sono state vittime e che continuano ad esserlo. 

In un certo senso, celebrare questo passaggio rappresenta una rottura con la storia recente, non solo della medicina, perché ha di fatto portato ad un cambio di prospettiva importante per la vita delle persone. Fino a pochi anni fa, infatti, l’omosessualità era considerata una malattia come le altre anche da parte della comunità medica, tanto che sono state concepite le cosiddette terapie riparative.

Sebbene condannata da tempo, solo tra gli anni ’50 e ’60 l’omosessualità viene inserita all’interno dei manuali diagnostici condivisi dalla comunità scientifica e medica: nel 1952 viene classificata all’interno dei “disturbi sociopatici di personalità”; nel 1968 il DSM II (Manuale Diagnostico Statistico che raccoglie e classifica i disturbi mentali e psicopatologici, e che viene utilizzato da psichiatri, psicologi e medici sia nella pratica clinica che nell’ambito della ricerca) considera l’omosessualità una deviazione sessuale, al pari della pedofilia. Bisogna aspettare gli anni ’70 perché l’omosessualità venga rimossa come categoria diagnostica, fino ad arrivare ad una vera e propria derubricazione proprio nel 1990, quando la medicina dichiarò apertamente la propria posizione: l’orientamento sessuale è una caratteristica dell’individuo che si esprime nella relazione con l’altro ed è connessa ai bisogni di sicurezza e sociali quali i bisogni di amore, affetto ed intimità; l’orientamento sessuale prevede tre varianti naturali – eterosessualità, omosessualità, bisessualità.

Nel frattempo, in quei decenni avevano preso piede anche le terapie riparative, chiamate anche terapie di conversione o di ri-orientamento sessuale: metodi che avevano come obiettivo quello di modificare l’orientamento sessuale di una persona, una sorta di “riprogrammazione” dell’orientamento da omosessuale/bisessuale a eterosessuale, tanto da modificarne anche i desideri sessuali. Le terapie riparative consistevano, sostanzialmente, nel “curare un difetto di mascolinità” che si credeva avesse origine da una relazione disfunzionale con le figure genitoriali e le tecniche più comunemente utilizzate riguardavano: la terapia dell’avversione (associando una sensazione spiacevole e/o disgustosa – es. scariche elettriche, nausea e vomito – ad immagini omoerotiche), l’esorcismo, le punizioni corporali, l’assunzione di farmaci inibenti il desiderio sessuale o che modificano la secrezione ormonale (ovvero la castrazione chimica), la modificazione del comportamento, l’astinenza sessuale, il confinamento sociale.

Nel 1969 i moti di Stonewall hanno dato origine al movimento LGBT, aumentando la visibilità delle persone e portando alla luce la questione: questo incentivò un movimento scientifico ed etico, tanto da arrivare all’evidenza scientifica odierna per cui le terapie riparative non solo non sono più riconosciute dalla comunità scientifica, bensì sono considerate inefficaci, dannose e altamente pericolose

Ma, come abbiamo già esposto in precedenza, non si può pensare di cambiare l’orientamento sessuale e non si può curare l’omosessualità, perché l’orientamento è una caratteristica naturale dell’essere umano e l’omosessualità e la bisessualità non sono delle malattie, come ormai ampiamente testimoniato da una innumerevole quantità di studi scientifici. Bisogna, dunque, aspettare il 17 maggio del 1990 perché avvenga il cambiamento e perché l’intera comunità scientifica si renda conto dell’errore commesso.

Successivamente, nel 2004 l’Unione Europea prende posizione e si impegna a lottare apertamente contro ogni forma di discriminazione legata al genere e all’orientamento sessuale, istituendo la Giornata Mondiale contro l’Omofobia-Bifobia-Transfobia (per essere precisi, dal momento che riguarda persone omosessuali, bisessuali e transessuali). Varie nazioni europee, nel corso degli anni, hanno compiuto notevoli sforzi per l’integrazione e per combattere la discriminazione, sebbene nel mondo la strada sia ancora lunga da percorrere perché questa rivoluzione culturale possa dirsi veramente riuscita: in ben 7 paesi al mondo, al momento, vige la pena di morte per il “reato” di omosessualità, in altri 5 ne è contemplata la possibilità; 26 stati impongono sanzioni per le relazioni omosessuali, che vanno dai 10 anni all’ergastolo; in 32 stati esistono leggi che limitano la libertà di espressione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, compresa la “propaganda dell’omosessualità” (Fonte: rapporto ILGA 2019 – https://ilga.org/state-sponsored-homophobia-report).

In Italia e nel mondo ogni anno le associazioni si impegnano per parlare di questi temi, raccontare esperienze, aprire discussioni a riguardo. E anche quest’anno accadrà, tra dirette Facebook e Instagram, di incontrare i membri di queste associazioni alle prese con la lotta all’omofobia: forse quest’anno più che mai sarà visibile e utile raccontare cos’è il bullismo omofobico e come possiamo farvi fronte, ascoltare le storie di coloro che ci sono passati, confrontarsi con esperti e attivisti, discutere sulla questione dei diritti civili. Al coro delle associazioni, per la prima volta quest’anno, si sono unite anche alcune scuole che hanno chiesto ai loro docenti di parlare di questa giornata e di dedicare del tempo nel corso delle loro lezioni con gli alunni.

Dunque, domenica 17 maggio ci diamo appuntamento sulle varie piattaforme e nei vari siti per celebrare questa importante ricorrenza, apriamo le orecchie e la mente a questo spazio, perché non è mai abbastanza parlare di diritti e di lotta alle discriminazioni.

Il bullismo omofobico

di Rosa Olga Nardelli

Questo articolo è l’ideale prosecuzione dell’articolo “L’identità sessuale”.

Sempre più spesso si sente parlare di bullismo, di omofobia, di intolleranza ma il più delle volte lo consideriamo come qualcosa di assolutamente distante da noi o qualcosa che non ci riguarda; in realtà è qualcosa che ci riguarda sempre o, comunque, che ci prende in causa o come diretti interessati o come coloro che assistono o ne hanno una diretta azione.

Per definizione, il bullismo omofobico comprende tutti gli atti di prepotenza e abuso (offese verbali, discriminazioni, minacce e aggressioni verbali e fisiche) che si fondano sull’omofobia, rivolti a persone percepite come omosessuali, bisessuali o atipiche rispetto al ruolo di genere. Il bullismo omo-bi-transfobico colpisce ogni persona che venga percepita o rappresentata come “fuori” dai modelli di genere normativi. Il bullismo omo-bi-transfobico tocca principalmente l’identità di genere e il ruolo di genere.

Può presentarsi sotto diverse forme. La più frequente è quella verbale: insultare qualcuno chiamandolo “ricchione”, “frocio”, “checca”; prendere in giro per atteggiamenti ritenuti troppo effemminati (per un maschio) o troppo mascolini (per una ragazza); fare telefonate di scherno o insulti; minacciare. È diffusa anche una forma fisica di bullismo: aggressioni di diversa entità (spintoni, pugni, calci); danni ai suoi oggetti personali; umiliazioni fisiche a sfondo sessuale, che possono sfociare anche in violenze sessuali di gruppo.

Queste forme dirette di bullismo sono piuttosto semplici da individuare (sebbene la vergogna che l’adolescente prova può già portarlo a nasconderne i segni); vi sono però delle forme meno dirette, meno esplicite (forma psicologica): escludere qualcuno da un gruppo, isolarlo; farlo sentire a disagio; diffondere pettegolezzi rispetto la sua condotta sessuale o il suo orientamento (es. scritte sui muri o sulla lavagna, bigliettini, etc.); cyber-bullismo (es. mandare foto o sms inappropriati a qualcuno, creare un blog o una pagina facebook di scherno.

Cosa rende specifico il bullismo omofobico?

  • Difficoltà a chiedere aiuto agli adulti (con vissuti di ansia e vergogna);
  • difficoltà di sostegno e protezione tra i pari (“se difendo il mio amico o se dico di essere un suo amico, anch’io verrò considerato omosessuale”);
  • coinvolgimento diretto o indiretto di insegnanti e genitori con possibili pregiudizi derivanti da un clima di omofobia diffuso in un dato contesto (es. atteggiamenti di sottostima delle difficoltà, negazione dell’accaduto, atteggiamento espulsivo di allontanamento, propositi di cura);
  • appoggio della società, alimentato dal clima di omofobia;
  • effetti negativi sull’identità stessa della persona poiché va ad intaccare il sé psicologico e sessuale.

Quali possono essere gli effetti emotivi e comportamentali del bullismo omofobico?

  • Scarsa autostima;
  • ritiro ed isolamento sociale;
  • assenteismo e ritiro scolastico, con conseguenze sulla prestazione scolastica;
  • uso di sostanze e/o comportamenti sessuali a rischio;
  • problemi di salute mentale (disturbi d’ansia, depressione, autolesionismo, suicidio).

Anche un “semplice” insulto omofobo, come “frocio”, “lesbica”, etc. che avviene davanti ad un insegnante che non interviene può mettere in moto un pericoloso circolo vizioso: da un lato l’adolescente si sente ferito per l’insulto e potenzialmente esposto ad altri atti di bullismo, ma soprattutto sperimenta un senso di abbandono da parte delle istituzioni che dovrebbero tutelarlo; dall’altro lato, i bulli si sentiranno ancora legittimati nei loro comportamenti poiché rimasti impuniti.