La guerra dentro

di Sara Feltrin

Zona rossa, zona gialla o zona arancione. Bar e ristoranti tornano a chiudere le serrande, i negozi hanno le ore contate e le scuole perennemente in ballo tra lezioni in presenza e lezioni online. Non si parla d’altro ormai, il Covid-19 è tornato al centro di ogni comunicazione, protagonista indiscusso delle nostre giornate. Ci troviamo di nuovo costretti a seguire delle direttive che limitano inevitabilmente il ciclo delle nostre giornate, cambiano le abitudini e non siamo più liberi. Oltre agli effetti più strettamente pratici e concreti, la pandemia sta portando ad una serie di conseguenze psichiche importanti e i più recenti studi lo dimostrano: ansia, panico, fobie, depressione e angoscia risalgono come un deja-vu, ma non è un deja-vu. E’ la seconda ondata della pandemia e coinvolge tutto il mondo, grandi e piccini. Ma gli adolescenti? Quella miriade di ragazzi e ragazze che in questo delicatissimo momento storico, stanno costruendo le fondamenta per il loro futuro e le basi della loro personalità. Quella fetta di popolazione che vive nel limbo tra la fanciullezza e l’età adulta, tra l’abbandono di un mondo, quello infantile, non più adatto alle loro esigenze e il lancio verso un mondo ignoto, quello dell’età adulta, in cui vengono proiettati bisogni, aspettative, sogni e desideri. Loro dunque, dove li abbiamo lasciati? Un pò come con i banchi con le rotelle, ci si è concentrati così tanto sulla didattica scolastica, sulle lezioni in presenza oppure online, su una parte del tutto, che si è perso il focus della una visione più generale e delle vere priorità che caratterizzano il mondo adolescenziale, che non è solo la scuola. DAD (Didattica A Distanza) o DDI (Didattica Digitale Integrata), qualsiasi acronimo il Ministero voglia utilizzare, il principio però, non è la didattica fine a se stessa, perchè la scuola non è solo didattica, ma anche rapporti sociali, relazioni, confronti, fuori e dentro la scuola, l’esporsi al mondo con tutta una serie di atteggiamenti, comportamenti, stili personali, modi di vestire, truccarsi e comunicare, che solo l’esperienza sul campo può offrire. Uscire di casa, andare a scuola, andare a basket o a musica, significa proprio questo: vivere quella linfa vitale e quegli istinti che devono essere vissuti, toccati, conosciuti, per poter costruire la propria identità, creare la propria strada, con la tenacia e l’autoefficacia formatesi durante queste fondamentali esperienze di vita che danno forma e senso alla loro esistenza. 

Tutto questo è stato spostato sulla rete ormai da un pò, soprattutto con l’incremento dei social network e di tutte quelle piattaforme che portano alla creazione di un’identità digitale e, con essa, una fitta rete di relazioni digitali che favoriscono costanti confronti e ricerca di conferme. Come si fa quindi, a fare esperienza online, dove ogni situazione e ogni relazione viene creata e gestita ad hoc, su misura di un proprio avatar che difficilmente rispecchia l’identità della vita reale, ma un’identità ideale e immaginaria spesso irrealizzabile nella realtà. Come si fa a fare esperienza dietro uno schermo, dove emozioni e sentimenti vengono digitalizzati o scansionati in jpg o, meglio ancora, in pdf così tutti possono leggerli e nessuno può modificarli. Tanti sono i sentimenti che non riescono ad esprimersi, perchè per poterlo fare hanno bisogno di essere compresi e contenuti con empatia, condivisione, contatto e presenza

E ora, con la pandemia, dove qualsiasi forma di contatto o presenza è vietata, tutto questo si è amplificato a dismisura, ingigantendo il bisogno di uscire, di vedere gli amici, di mostrarsi al mondo e di essere liberi. Più di tutti quindi, in questa pandemia, ci stanno rimettendo loro, i bambini di ieri e gli adulti di domani, che si trovano bloccati e rassegnati a schiacciare impulsi e desideri sotto un cuscino.  

Rassegnazione, frustrazione, delusione e tristezza: queste sono le emozioni che prevalgono; di rabbia ce n’è poca, perchè la rabbia nasce quando c’è un fuoco dentro che brucia, un’energia vitale che arde per un desiderio o un obiettivo che in qualche modo ci viene ostacolato, e ci si arrabbia, sii reagisce, si lotta. Ma oggi, per la gran parte dei nostri adolescenti quel fuoco dentro si è trasformato in una piccola fiaccola alimentata da una lieve speranza che “le cose passino in fretta e che si sistemi tutto al meglio”. E più le delusioni procedono, più quel fuoco rischia di spegnersi, come si spengono impulsi e istinti, essenza vitale del corpo umano (e non solo adolescenziale). E’ facile capire, quindi, come la curiosità, l’intraprendenza e la motivazione inizino a mancare e come dall’essere attivi si passi all’essere passivi verso il mondo, il mondo esterno, ma soprattutto il mondo interno.  

D’altronde come fa un ragazzo, oggi come oggi, ad immaginarsi un futuro? o semplicemente a proiettarsi, tra qualche anno, in vesti di chi vorrebbe essere? Il futuro, lo indica il nome stesso, non è mai stato certo per nessuno, però, costruirlo in un presente più o meno chiaro e ricco di opportunità di crescita è ben diverso dal costruirlo in un presente di totale confusione e incertezza: in questo momento è difficilissimo per i nostri giovani definirsi, percepire i loro bisogni e desideri. Se somministrassimo loro un tema di italiano con la classica consegna “descriviti e racconta di te” penso che non potremo proporgli un lavoro più arduo e angosciante. 

Occorre quindi aiutarli a trovare la motivazione e la voglia di investire su se stessi, oggi più che mai; aiutarli ad avere massimo contatto con la loro sofferenza, la loro delusione e la rabbia nascosta dietro un profondo senso di frustrazione e rassegnazione. Dobbiamo aiutarli ad esprimersi, ad urlare, a pretendere e lottare per il loro futuro, per un ritorno alla vita reale molto diversa e, per certi aspetti anche spaventosa, della realtà digitale. Compiere questo passaggio, abbandonare il Sè virtuale/ideale e rientrare nelle vesti del complesso Sè reale, non sarà affatto semplice. Come non sarà semplice riprendere contatto con quelle relazioni difficili che il digitale ci consentiva di dimenticare. 

Cari adulti, cari mamma e papà: il Covid e le restrizioni che esso porta con sé  non devono diventare dei muri insormontabili, ma opportunità di relazione, di stare assieme, con noi stessi e in famiglia. Coltivare tempo e spazio di vita reale anziché connessi ai social o alla rete. Il mondo dei vostri figli è prevalentemente tecnologico oramai e non possiamo eliminare questa componente importante dalla loro vita, essendo quello l’unico contatto col mondo esterno, potete però insegnargli e guidarli ad un utilizzo consapevole e limitato di dispositivi elettronici, smartphone e tablet. Comunicate con la loro lingua tecnologica, partecipate alla loro vita digitale ma insegnategli a utilizzare lo smartphone per chiamare o scrivere agli amici, usare il pc per le videolezioni e lo studio; aiutateli ad allontanarsi dalla costante ossessione dei social network, dalle lunghe attese dei like, dei feedback rinforzanti che non fanno altro che alimentare il loro precario fatto spesso di incertezze e timori. Ascoltate i loro bisogni, le loro necessità, aiutateli a riprendere in mano le loro passioni e i loro interessi perchè le risposte non si trovano dietro uno schermo ma dentro di loro, dentro di voi insieme a loro, nelle scelte che fanno, nella vita che conducono e negli spazi che vivono. 

Infine, cari ragazzi, care ragazze: avete tutta la ragione per essere delusi e frustrati dalla realtà che vi si pone davanti, però il futuro siete voi e il futuro, per cambiare, ha bisogno di un fuoco che arde e che lotta per perseguire obiettivi e desideri. E noi, come adulti, vi aiuteremo ad accendere quel fuoco e quell’energia vitale per pianificare gli anni che verranno, senza gli sbagli delle generazioni passate e con la resilienza di chi ha saputo reggere una guerra dentro e la tenacia di chi ha saputo pazientare e vincere. 

Il futuro è settembre. Forse

di Sara Feltrin

Finalmente le tanto attese e meritate vacanze! La tipica esclamazione che caratterizza l’avvicinarsi del periodo estivo. Quest’anno però non è proprio così, almeno per una gran parte di noi. 

Vacanza vuol dire mollare tutto, abbandonare sedia e scrivania, accantonare carte e scartoffie e nascondere, più o meno forzatamente, l’agenda nel cassetto, per timore che la sua presenza in qualche modo rovini le ferie

Vacanza vuol dire raggiungere un posto meraviglioso dal mare cristallino e assaporare l’aria marittima, la sfida di una scalata in montagna, il campeggio con i bambini o qualche tour in città. Per altri invece, vacanza vuol dire puro relax e la casa, o la baita in montagna, sono sempre i migliori congedi in cui riposare.

Ma, al di là di queste faccende pratiche, che cosa significa davvero andare in vacanza? Significa libertà, togliersi di dosso i pesi e le responsabilità che appesantiscono tutto l’anno e ripristinare il contatto con il proprio , le proprie passioni, con ciò di cui abbiamo bisogno, unico indispensabile e fondamentale ingrediente per poter stare bene

Ma quest’anno, o meglio, questi mesi di un 2020 così tartassato e insicuro, le vacanze estive invece di risollevare gli animi rappresentano quasi una minaccia alla salute pubblica e un dilemma angosciante al dove vado che c’è il Covid dietro l’angolo?

Oggi, estate 2020, di cosa abbiamo veramente bisogno? E’ proprio quel mare cristallino o quella vetta di montagna che sopperirebbero al nostro bisogno di….. di?

Le vacanze quest’anno hanno un altro sapore, il sapore del timore di una pandemia mondiale, il sapore dell’insicurezza politica ed economica, dell’incertezza di poter tornare al proprio posto di lavoro e tra i cari vecchi banchi di scuola. 

Che vacanze sono queste, in cui tanti lavoratori vivono con il dubbio sul futuro della propria azienda, che “Non so se quando rientrerò il Covid farà chiudere l’intera azienda” e dove i contratti a tempo determinato sono destinati a non essere rinnovati?

Ma soprattutto, che vacanze possono essere quelle dei nostri ragazzi che, concluso un anno scolastico confuso e caotico, non sanno nemmeno se tra i banchi di scuola ci torneranno? E, se ci torneranno, la scuola di sicuro non sarà più la stessa, forse nemmeno i banchi di scuola che hanno accompagnato generazioni e generazioni di studenti, che verranno sostituiti da rigide sedie in plastica scura con tavolozza annessa che non ammette spazio a nient’altro che un libro.

Appare nostalgica, e ora utopica, la concezione di vacanza che fino allo corso anno caratterizzava tutte le estati di ogni studente quando la sveglia termina di esistere, i compiti e lo studio vengono rimandati ad agosto (e forse anche un pò più in là) ma la cosa più importante e fondamentale è quell’attesissima e beata spensieratezza  accompagnata dalle uscite e le scampagnate con gli amici. 

Mah, non hanno tanto senso queste vacanze perchè non mi è sembrato neanche di andare a scuola quest’anno”. Certo, perchè quest’anno la scuola è rimasta per troppo tempo in stand-by, c’era, ma non c’era. Le lezioni quest’anno non avevano sapore, come non hanno sapore queste vacanze in cui l’ingrediente fondamentale, le relazioni con amici e coetanei, vengono controllate e limitate a prova di mascherina. Vacanze scandite quotidianamente dagli interventi del TG o del ministro dell’istruzione che ogni mattina contribuiscono all’incertezza e alla confusione verso l’imminente futuro, il 14 settembre per l’appunto. Sentimenti di delusione e angoscia che minacciano di polverizzare i piccoli grandi progetti che ogni ragazzo persegue da tempo: iscriversi alla facoltà di Lettere o Medicina, studiare all’estero, il test d’ingresso, l’esame per la patente, l’acquisto dello scooter, la vacanza dai parenti lontani, ecc ecc. Progetti che, per quanto poco, danno senso e forma al futuro dei nostri piccoli grandi ragazzi che si stanno affacciando proprio ora alla vita del futuro e che ora rischiano di vedersi costretti a cambiare rotta e seguire la scia del vento. 

Quindi, i nostri  giovani come possono godersi queste vacanze quando anche un innocuo raffreddore si trasforma in una minaccia alla salute pubblica e un lieve mal di gola il preludio ad un’angosciante quarantena? 

E’ vietato ammalarsi anche perchè, se per sbaglio scappa uno starnuto al supermercato, scatta la gara a chi sta più lontano dal malato con sguardi infami e terrorizzati che chi se li toglie più, poi.

Sono vietati gli assembramenti. Ma cosa significa assembramento, nel mondo dei giovani e degli adolescenti? Quali sono i limiti di vicinanza fisica spiegata a quei quindicenni che costruiscono la loro quotidianità, il loro essere e la loro vita proprio grazie al contatto fisico (che per loro non è solo fisico ma anche mentale, affettivo ed emotivo)? Come si spiega ai nostri ragazzi che la mascherina è obbligatoria quando spesso noi adulti, sbadatamente o meno, siamo i primi ad entrare nei locali senza la mascherina?

Sarebbe una punizione troppo crudele quella del “non uscire alle feste con i tuoi amici perchè sennò si creano assembramenti” Che cos’è esattamente un assembramento? Un gruppo di 5 persone può definirsi tale? Si può uscire sì, ma non troppo vicini? Quali alternative ci sono che possono, realmente e concretamente, rispettare le indicazioni dell’OMS? E’ difficile capirlo per noi adulti (oppure forse non vogliamo capire?) figuriamoci insegnarlo a loro, in un mondo di confusione e incertezza fuori (il nostro), un mondo di caos e insicurezze dentro (il loro) e scariche di ormoni impazziti. 

Ma molto spesso ad attenersi diligentemente alle indicazioni sono proprio i nostri adolescenti, che sembrano schierati tra chi, la questione del Covid-19, la prende sul serio e chi invece ritiene il virus un’entità poco probabile e lontana dal rischio. Comportamenti leciti da un certo punto di vista, d’altronde non desideriamo altro che questa pandemia se ne vada al più presto, mascherine e igienizzanti compresi. Indossare la mascherina non è più la novità del momento, l’estrosità di casalinghe impegnate a cucire pezzi di stoffa unici e colorati; indossare la mascherina ora significa ricordare a noi stessi che il virus esiste ancora, che non possiamo e non dobbiamo abbassare la guardia e che il pericolo è sempre dietro l’angolo. Spesso forse, dimenticarla o non indossarla non è solo pura dimenticanza. 

Quello che si prospetta sarà per tutti l’inizio di un nuovo corso, scandito da numeri e regole, tra l’ansia di un nuovo lockdown e la speranza di una nuova ripresa. Saremo diversi, come saranno diverse le nostre, nuove, abitudini, diverse prospettive e le garanzie del futuro, la consapevolezza di noi stessi e di quel che abbiamo vissuto fin’ora, chi più e chi meno. 

Ma i veri protagonisti ora sono loro, quei giovani che fino a qualche mese fa sognavano di iscriversi a Lettere e diventare insegnanti e ora deviano i binari verso la facoltà di Medicina o Infermieristica oppure un corso OSS per aiutare la fascia più debole. Sono loro al primo posto dell’incertezza di settembre, a cavalcioni su un equilibrio precario tra il devo e il vorrei, che si trovano a fare i conti con un futuro incerto e poco promettente già in partenza. Penso che gran parte del supporto e del sostegno vada proprio a loro, alla loro speranza del costruirsi e del costruire un futuro che possano meritarsi.