di Giorgio Zanier*
Era un martedì del lontano Febbraio del 1978, tutto il pomeriggio l’avevo trascorso a bussare le porte delle case per recitare la filastrocca in cambio di qualche uovo e poche monete. Un’usanza che a Carnevale io e i miei compagni di scuola ripetevamo religiosamente ogni anno nel pomeriggio del martedì grasso. Anche quel giorno andò tutto come previsto. Un travestimento per il pomeriggio e uno per il ballo in maschera che si sarebbe tenuto alla sera nella sala parrocchiale del paese .
Del resto in quell’epoca la Tv era a un canale solo e gli eroi da imitare erano davvero pochi: Tarzan, Zorro, Topolino e pochi altri. Così con un abito da Zorro (tassativamente fatto in casa) nel pomeriggio e un abito da vecchia adattato alla maschera acquistata per la sera, anche quell’anno avremmo rinnovato la sfida tra amici: presentarci con due travestimenti diversi per poi decretare il vincitore in colui che veniva riconosciuto per ultimo.
Cosi anche quella sera di mi presentai al ballo in maschera con l’intento di non farmi riconoscere, fino a quando improvvisamente notai la presenza di un gruppo musicale. Essendo una serata danzante mascherata ci stava. Del resto anche d’estate durante la sagra del paese vi erano sempre gruppi musicali a animare le serate. Quel martedì grasso invece vi era qualcosa di completamente differente che attirò la mia attenzione. Si perché questa volta a differenza di tutte le altre alla batteria sedeva un bambino della mia età.
Quando realizzai il tutto rimasi completamente pietrificato. Fino a quel momento avevo pensato che i batteristi fossero sempre stati adulti per cui anche se volevo suonare la batteria nel corso dei miei 11 anni sapevo che avrei avuto comunque tempo per farlo e anche l’organista della chiesa, il mio primo mentore, mi ripeteva spesso che una volta più grandicello (ritornello che non sopportavo dato che l’avevo sentito pronunciare centinaia di volte anche in famiglia) avrei potuto imparare a suonare la batteria.
Fu proprio lui, mentre accompagnavo le sue esercitazioni con il mio tamburellare sulle sedie, a farmi esordire in pubblico alcuni anni prima durante una celebrazione liturgica grazie a una batteria presa in prestito dall’oratorio del paese vicino. Fu sempre lui a dirmi di suonare con le mani quando preso dall’emozione della mia prima esibizione in pubblico , fui incapace di tenere le bacchette in mano perché tremavo come una foglia per la paura di sbagliare. E fu sempre lui a esortare i miei genitori a inscrivermi al lontano conservatorio di Udine così da cominciare a sviluppare il mio talento che emergeva da tutte le parti ma che purtroppo non sembrava interessare molto, probabilmente perché collocato in una realtà piccola come un paesino di provincia in cui gli aspetti principali riguardavano l’emigrazione e la coltivazione della terra.
Del resto anche io ero figlio di emigranti ed erano i tempi in cui vi erano pochissime possibilità… di scuole di musica nemmeno l’ombra, solo calcio giovanile e qualche sporadico gruppo scout ancora in fase embrionale… D’informazione online, oggi diventata fonte di apprendimento per tutte le categorie, nemmeno parlarne. Così, quando quella sera vidi quel bambino, tutte le mie certezze e le mie credenze andarono in frantumi. Corsi di corsa a casa a dire a mio padre di venire a vedere quel bambino che era come me e che quindi avrei potuto anche io iniziare in qualche modo.
Ma vuoi per le difficoltà di quel momento, la stanchezza del lavoro e altri due figli a cui pensare, ben presto la mia richiesta, come era già successo alla precedente proposta del conservatorio, cadde immediatamente nel dimenticatoio. Cos,ì tolti i vestiti (il carnevale in quel momento era come se non esistesse più) e rimessi gli abiti normali, mi precipitai di corsa a vedere quel bambino. Fortunatamente casa mia era poco distante dalla sala parocchiale per cui fui molto rapido nel prendere una delle poche sedie rimaste e sedermi in un angolo in cui riuscivo a vedere il palco. Non mi mossi più da lì per almeno 3 ore, rapito dal mio sogno che vedevo realizzarsi in qualcun ‘altro.
Già da due anni l’organista se ne era andato, trasferito per lavoro da un’altra parte, e io vivevo la mia passione per la musica immerso in un mio mondo che, nell’ambiente, soprattutto scolastico (tranne qualche apparizione nelle recite alle elementari con un fustino del Dash), non era per nulla recepito. Tuttavia fu proprio quella sera che iniziò tutto per me perché, il giorno dopo, i genitori di quel bambino, vedendomi cosi attento e appassionato, vennero a casa mia e parlando con i miei genitori dissero loro che dovevano assolutamente spingermi allo studio dello strumento. Ricordo bene quel periodo, soldi a casa non ne giravano molti per cui tutti temevano che la mia fosse solo una passione adolescenziale passeggera utile solo a indebolire il bilancio familiare, visti il costo degli strumenti musicali e la difficoltà di reperire un maestro che mi desse i primi rudimenti.
Visto con il senno di poi, quello in realtà fu il primo passo di un percorso lungo 40 anni, fatto sì di sacrifici, ma anche di grandi soddisfazioni e di dischi registrati, Tour e collaborazioni importanti con musicisti di una certa caratura, conoscenze e momenti rilevanti come qualsiasi professione svolta ad ottimi livelli comporta.
Dall’adolescenza fino al professionismo, la musica è stata soprattutto “la mia stanza.” Quel luogo in cui rifugiarmi quando mi sentivo incompreso o invaso da un qualsiasi tipo di ordine autoritario (nel periodo scolastico erano frequenti) che alle volte in quella fase di vita tendevo a contrastare perché lo vivevo come un obbligo limitante. Una stanza tutta per me in cui non permettevo a nessuno di entrare.
Scoperta la mia passione rinforzata dall’interesse del mio primo mentore che poi mi abbandonò per cause di forza maggiore, non mi sono mai arreso pur di arrivare ad ottenere ciò che desideravo. Ho superato tantissime difficoltà: per studiare lo strumento ho trascorso molte ore in treno per raggiungere gli insegnanti delle grandi città in Italia e all’estero, ma tutto poi è stato ripagato con grandi risultati, anche inaspettati, e soddisfazioni immense. Ricordo ad esempio quando da bambino vedevo il Festival di Sanremo ed ero pronto con il mio fustino ad accompagnare le canzoni ogni sera per tutta la durata del Festival. La sera poi a letto addormentandomi mi dicevo: “Un giorno salirò anche io in quel palco!”
Così quando nel 1997 partecipai alla 47° edizione del Festival di Sanremo, come una “rullata” mi fecero eco i miei ricordi di bambino e iniziai ad unire i puntini. Quella che era stata la mia stanza per molto tempo, crescendo l’ho ampliata: ho aperto le finestre e ci ho iniziato a far entrare qualcuno, perché senza gli altri non si va da nessuna parte. Se da soli possiamo muoverci, insieme si può andare più lontano, per cui dopo aver ben sviluppato il muscolo della solitudine ho iniziato ad aprirmi al mondo: avevo capito chi ero e cosa volevo fare nella mia vita.
E’ vero che prima ho dovuto imparare a mie spese che risalire la corrente è dura, soprattutto quando non sai di essere un salmone e l’ambiente esterno (probabilmente anche in buona fede) ti fa credere di essere un pesce rosso. Ma è anche grazie a questo che oggi, in qualità d’insegnante e formatore, sono in grado di trasmettere ai miei studenti e alle persone con cui vengo a contatto il desiderio di superare i limiti apparenti.
Ritengo siano di fondamentale importanza, sia per riuscire a crearsi una professione sia per alimentare la propria Felicità, imparare ad ascoltare se stessi e gli altri e dedicare tempo a scoprire chi siamo e che talenti abbiamo. Per usare una metafora, si può paragonare il coltivare il proprio talento al tentativo di accendere un fuoco. All’inizio per farlo ardere occorre alimentarlo con la legna circostante (famiglia-scuola-ambiente di vita) e poi, una volta acceso, si potrà andare a prenderne in un ambiente esterno. Io penso che, anche se all’inizio non ne siamo consapevoli, ciascuno di noi nasca con un Talento, un’abilità recondita, grazie alla quale c’è un ambito in cui ciò che fa riesce naturale .
Quando arrivò la mia prima batteria a casa mi ci sedetti dietro e iniziai a suonare come se l’avessi sempre fatto. Anche nelle mie prime serate, fatte all’età di 13-14 anni, ripetevo naturalmente i ritmi imparati nei dischi o che mi ero immaginato in testa. Fin da bambino, io battevo su una superficie con tutto ciò che mi capitava sottomano e farlo mi faceva entrare nella “mia stanza.”
Se in questo momento, rivedendo tutti i miei trascorsi, mi chiedessi come viva oggi la professione del musicista, direi che sono cambiate moltissime cose sia nella mia vita professionale che personale e non ho mai vissuto la mia professione come un lavoro ma piuttosto come una gioia, un privilegio.
Attualmente il mio principale interesse ruota attorno al tipo di vita che voglio vivere: preferisco mettere a disposizione quanto ho appreso per fare in modo che i miei studenti valorizzino le loro capacità, evitando così di entrare nel paradigma da me sperimentato in gioventù e che è ben rappresentato nel libro “L’aquila che si credeva un pollo.”
Scoprire fin da subito la propria passione e le proprie capacità offre la possibilità d’imparare a conoscere noi e il mondo circostante soprattutto in età adolescenziale, perché permette di forgiare il proprio carattere, sperimentare il potere della disciplina personale e conoscere le proprie possibilità. Vivere il proprio Talento è un opportunità che la vita ci offre per comprendere il nostro scopo ed iniziare a viverlo per sé e gli altri, anche per questo lo dobbiamo imparare a coltivare. Come insegna Confucio, scegliere il lavoro che amiamo significherà non lavorare nemmeno un giorno per tutta la vita.
*Collaboro professionalmente nel campo della didattica musicale con il CDM Centro Didattico MusicaTeatroDanza di Rovereto (Tn) suono in diversi progetti musicali e mi occupo di formazione attraverso corsi e seminari. Sono autore della collana didattica per batteristi Custom Learning e del Libro “Crea la colonna sonora della tua vita” dedicato a tutti coloro che desiderano migliorare la propria vita attraverso lo sviluppo del proprio talento.