Percorsi tortuosi: adolescenti e scuola

di Francesca Del Rizzo

Questa settimana si è celebrato l’anniversario della nascita di Don Milani (27 maggio) e questa ricorrenza mi ha fatto riflettere: mi sono chiesta cosa avrebbe pensato lui della didattica a distanza di questi giorni, lui che faceva lezione all’aria aperta, lui che aveva con i suoi alunni un rapporto di prossimità, ancor più che di vicinanza. Sono certa che si sarebbe inventato qualcosa di bellissimo ed entusiasmante, per poter conservare la vicinanza nella sicurezza. Certo, non so se glielo avrebbero lasciato fare… ma sicuramente lui ci avrebbe provato ed avrebbe perseverato.

Perché amava educare ed amava i suoi ragazzi, tutti.

Don Milani fa scuola a Barbiana

Io ho invece l’impressione che, nella scuola di oggi, come in quella di ieri del resto, forse, non tutti gli insegnanti amino sempre tutti i loro studenti. Alcuni tendono a valorizzare e gratificare quelli che seguono percorsi lineari, che lavorano, si impegnano ed ottengono bei risultati, mentre tendono a svalutare, svilire, a volte umiliare chi invece sembra fare più fatica, magari si impegna poco ed ottiene risultati insufficienti o al limite. Credo che sia naturale, da un certo punto di vista. Insegnare non è per nulla una professione facile ed un insegnante può vivere il disimpegno di uno studente, il suo palese disinteresse per la materia e per i compiti, il suo scarso apprendimento come una sorta di insulto personale, mentre i risultati e l’abnegazione dell’allievo studioso lo gratificano e ripagano di tanta fatica.

Naturalmente non intendo assolutamente suggerire che agli studenti “bravi” non debba essere riconosciuto il lavoro che fanno, anzi probabilmente dovremmo riflettere – e non escludo che ci proverò – su come farlo in maniera davvero costruttiva, forse, però, un pensiero diverso su quelli che “non hanno voglia” potremmo articolarlo proprio ora, anche in memoria dei percorsi tortuosi dei ragazzi di don Milani.

Ho letto recentemente un libro che una persona che stimo mi ha prestato e che consiglio a tutti, senza distinzioni di età o di preferenze letterarie: è un libro che val la pena leggere. Si tratta di Bianco come Dio di Nicolò Govoni.

L’obiettivo di Nicolò nel libro non è raccontare il suo percorso scolastico, tuttavia a tratti egli ci parla di un’adolescenza difficile, caratterizzata da colpi di testa e da un difficile rapporto con il padre e con la scuola ed i suoi insegnanti. Alla fine delle superiori Nicolò, a diciotto anni, si sente vuoto: “Mi era stato detto che non valevo nulla così tante volte che avevo finito per crederci”.

Ed è proprio così che capita anche a molti ragazzi che io conosco in studio: è stato detto loro che non sono capaci, che non sono in grado di fare niente di buono, che non hanno combinato nulla nella vita (appunto, a 15, 16, 17, 18 anni…) così tante volte che queste sentenze sono diventate la definizione che loro stessi danno di sé.

Queste parole sono state dette da “adulti” (non solo insegnanti, certo, anche genitori, allenatori… ) che non hanno saputo fare qualcosa di diverso dal giudicare la persona sulla base di un comportamento, o una serie di comportamenti, senza mai chiedersi davvero: perché? Senza mai provare a guardare il mondo con gli occhi di quei ragazzi o di quelle ragazze (perché, intendiamoci, spiegare il comportamento di un ragazzo che non studia dicendo che non ha voglia di studiare mi sembra vagamente tautologico). Forse varrebbe la pena di chiedersi: e perché non ha voglia di studiare? Magari perché, con il passare degli anni, e delle parole degli adulti, si è convinto che non ha senso provarci, visto che tanto non può riuscirci… oppure perché è talmente impegnato a combattere i demoni dentro di sé che non ha energie o risorse da investire negli apprendimenti… o ancora perché ormai l’unico ruolo in cui si sente riconosciuto è quello del deviante. Le ragioni possono essere tante quante sono i ragazzi, ma, appunto, sono ragioni: c’è sempre un perché e concedersi di comprendere quel perché apre a mondi personali in cui anche le scelte apparentemente più sbagliate appaiono ragionevoli…

Le sentenze che gli adulti emettono con tanta, troppa leggerezza segnano i ragazzi e le ragazze, li inchiodano ad una versione temporanea e affaticata di loro stessi, e troppo spesso finiscono per stabilire e tracciare il loro futuro.

Nicolò si è ribellato a queste definizioni, ha scelto di abbandonare l’Italia e di andare a fare un periodo di volontariato in un orfanotrofio in India. Lì, fra molte altre cose, si è dedicato all’appoggio ai ragazzi dell’orfanotrofio nello svolgimento dei loro compiti scolastici. In un passaggio scrive:

“Dopo tre anni, i ragazzi parlano un inglese eccellente. Sono i primi della loro classe. […] Sono così orgoglioso dei loro progressi da stentare a credere di esserne stato in qualche parte il fautore. Stando con loro ho imparato qualcosa di fondamentale: un bambino crescendo si rivela sempre all’altezza delle tue aspettative. Se lo consideri un buono a nulla, ti crederà sulla parola e non andrà da nessuna parte. Se invece hai fiducia in lui, non c’è nulla che non possa ottenere. Non ho mai creduto nei miracoli, ma se assistere allo spettacolo di un bambino che impara qualcosa di nuovo non lo è, non so cos’altro possa esserlo.”

Ora Nicolò Govoni, ragazzo del 1993 cui gli insegnati avevano predetto che non avrebbe mai combinato nulla nella vita, è un giovane uomo la cui ultima, ma non unica, impresa è stata costruire, nell’isola di Samos, sostanzialmente dal nulla e con donazioni solo di privati, una scuola per bambini rifugiati sfuggiti alla guerra:

Nicolò Govoni a Mazì

“Oggi, oltre 150 bambini e adolescenti imparano e vivono nello spazio più sicuro, adatto e, lasciatemelo dire, bello dell’isola. Oggi cento minori altamente vulnerabili hanno la scuola che meritano, la scuola che era stata loro negata, la scuola per cui sono sopravvissuti a una guerra e attraversato mari e monti, la scuola che offre loro un’alternativa alla prigione in cui vivono. Questa è Mazì—Insieme.”

Mazì è un progetto che mi sembra molto simile alla scuola di Barbiana di Don Milani: un luogo dove gli adulti educano i piccoli e li accompagnano con amore e comprensione nei percorsi tortuosi cui la vita li costringe affinché possano liberarsi dalle sentenze definitive emesse da mondi violenti ed ingiusti e, come dice Nicolò, possano costruire, per sé e per gli altri, “la migliore versione di se stessi”.