di Sara Feltrin
Finalmente le tanto attese e meritate vacanze! La tipica esclamazione che caratterizza l’avvicinarsi del periodo estivo. Quest’anno però non è proprio così, almeno per una gran parte di noi.
Vacanza vuol dire mollare tutto, abbandonare sedia e scrivania, accantonare carte e scartoffie e nascondere, più o meno forzatamente, l’agenda nel cassetto, per timore che la sua presenza in qualche modo rovini le ferie.
Vacanza vuol dire raggiungere un posto meraviglioso dal mare cristallino e assaporare l’aria marittima, la sfida di una scalata in montagna, il campeggio con i bambini o qualche tour in città. Per altri invece, vacanza vuol dire puro relax e la casa, o la baita in montagna, sono sempre i migliori congedi in cui riposare.
Ma, al di là di queste faccende pratiche, che cosa significa davvero andare in vacanza? Significa libertà, togliersi di dosso i pesi e le responsabilità che appesantiscono tutto l’anno e ripristinare il contatto con il proprio sé, le proprie passioni, con ciò di cui abbiamo bisogno, unico indispensabile e fondamentale ingrediente per poter stare bene.
Ma quest’anno, o meglio, questi mesi di un 2020 così tartassato e insicuro, le vacanze estive invece di risollevare gli animi rappresentano quasi una minaccia alla salute pubblica e un dilemma angosciante al dove vado che c’è il Covid dietro l’angolo?
Oggi, estate 2020, di cosa abbiamo veramente bisogno? E’ proprio quel mare cristallino o quella vetta di montagna che sopperirebbero al nostro bisogno di….. di?
Le vacanze quest’anno hanno un altro sapore, il sapore del timore di una pandemia mondiale, il sapore dell’insicurezza politica ed economica, dell’incertezza di poter tornare al proprio posto di lavoro e tra i cari vecchi banchi di scuola.
Che vacanze sono queste, in cui tanti lavoratori vivono con il dubbio sul futuro della propria azienda, che “Non so se quando rientrerò il Covid farà chiudere l’intera azienda” e dove i contratti a tempo determinato sono destinati a non essere rinnovati?
Ma soprattutto, che vacanze possono essere quelle dei nostri ragazzi che, concluso un anno scolastico confuso e caotico, non sanno nemmeno se tra i banchi di scuola ci torneranno? E, se ci torneranno, la scuola di sicuro non sarà più la stessa, forse nemmeno i banchi di scuola che hanno accompagnato generazioni e generazioni di studenti, che verranno sostituiti da rigide sedie in plastica scura con tavolozza annessa che non ammette spazio a nient’altro che un libro.
Appare nostalgica, e ora utopica, la concezione di vacanza che fino allo corso anno caratterizzava tutte le estati di ogni studente quando la sveglia termina di esistere, i compiti e lo studio vengono rimandati ad agosto (e forse anche un pò più in là) ma la cosa più importante e fondamentale è quell’attesissima e beata spensieratezza accompagnata dalle uscite e le scampagnate con gli amici.
“Mah, non hanno tanto senso queste vacanze perchè non mi è sembrato neanche di andare a scuola quest’anno”. Certo, perchè quest’anno la scuola è rimasta per troppo tempo in stand-by, c’era, ma non c’era. Le lezioni quest’anno non avevano sapore, come non hanno sapore queste vacanze in cui l’ingrediente fondamentale, le relazioni con amici e coetanei, vengono controllate e limitate a prova di mascherina. Vacanze scandite quotidianamente dagli interventi del TG o del ministro dell’istruzione che ogni mattina contribuiscono all’incertezza e alla confusione verso l’imminente futuro, il 14 settembre per l’appunto. Sentimenti di delusione e angoscia che minacciano di polverizzare i piccoli grandi progetti che ogni ragazzo persegue da tempo: iscriversi alla facoltà di Lettere o Medicina, studiare all’estero, il test d’ingresso, l’esame per la patente, l’acquisto dello scooter, la vacanza dai parenti lontani, ecc ecc. Progetti che, per quanto poco, danno senso e forma al futuro dei nostri piccoli grandi ragazzi che si stanno affacciando proprio ora alla vita del futuro e che ora rischiano di vedersi costretti a cambiare rotta e seguire la scia del vento.
Quindi, i nostri giovani come possono godersi queste vacanze quando anche un innocuo raffreddore si trasforma in una minaccia alla salute pubblica e un lieve mal di gola il preludio ad un’angosciante quarantena?
E’ vietato ammalarsi anche perchè, se per sbaglio scappa uno starnuto al supermercato, scatta la gara a chi sta più lontano dal malato con sguardi infami e terrorizzati che chi se li toglie più, poi.
Sono vietati gli assembramenti. Ma cosa significa assembramento, nel mondo dei giovani e degli adolescenti? Quali sono i limiti di vicinanza fisica spiegata a quei quindicenni che costruiscono la loro quotidianità, il loro essere e la loro vita proprio grazie al contatto fisico (che per loro non è solo fisico ma anche mentale, affettivo ed emotivo)? Come si spiega ai nostri ragazzi che la mascherina è obbligatoria quando spesso noi adulti, sbadatamente o meno, siamo i primi ad entrare nei locali senza la mascherina?
Sarebbe una punizione troppo crudele quella del “non uscire alle feste con i tuoi amici perchè sennò si creano assembramenti” Che cos’è esattamente un assembramento? Un gruppo di 5 persone può definirsi tale? Si può uscire sì, ma non troppo vicini? Quali alternative ci sono che possono, realmente e concretamente, rispettare le indicazioni dell’OMS? E’ difficile capirlo per noi adulti (oppure forse non vogliamo capire?) figuriamoci insegnarlo a loro, in un mondo di confusione e incertezza fuori (il nostro), un mondo di caos e insicurezze dentro (il loro) e scariche di ormoni impazziti.
Ma molto spesso ad attenersi diligentemente alle indicazioni sono proprio i nostri adolescenti, che sembrano schierati tra chi, la questione del Covid-19, la prende sul serio e chi invece ritiene il virus un’entità poco probabile e lontana dal rischio. Comportamenti leciti da un certo punto di vista, d’altronde non desideriamo altro che questa pandemia se ne vada al più presto, mascherine e igienizzanti compresi. Indossare la mascherina non è più la novità del momento, l’estrosità di casalinghe impegnate a cucire pezzi di stoffa unici e colorati; indossare la mascherina ora significa ricordare a noi stessi che il virus esiste ancora, che non possiamo e non dobbiamo abbassare la guardia e che il pericolo è sempre dietro l’angolo. Spesso forse, dimenticarla o non indossarla non è solo pura dimenticanza.
Quello che si prospetta sarà per tutti l’inizio di un nuovo corso, scandito da numeri e regole, tra l’ansia di un nuovo lockdown e la speranza di una nuova ripresa. Saremo diversi, come saranno diverse le nostre, nuove, abitudini, diverse prospettive e le garanzie del futuro, la consapevolezza di noi stessi e di quel che abbiamo vissuto fin’ora, chi più e chi meno.
Ma i veri protagonisti ora sono loro, quei giovani che fino a qualche mese fa sognavano di iscriversi a Lettere e diventare insegnanti e ora deviano i binari verso la facoltà di Medicina o Infermieristica oppure un corso OSS per aiutare la fascia più debole. Sono loro al primo posto dell’incertezza di settembre, a cavalcioni su un equilibrio precario tra il devo e il vorrei, che si trovano a fare i conti con un futuro incerto e poco promettente già in partenza. Penso che gran parte del supporto e del sostegno vada proprio a loro, alla loro speranza del costruirsi e del costruire un futuro che possano meritarsi.